IL CAMPANILE DELLA CHIESA PARROCCHIALE

La sua ricostruzione angustiò i sanstinesi per quasi tutto l'Ottocento

di Luigi Perissinotto

Il lungo periodo di pace che la Serenissima aveva garantito si interruppe alla fine del Settecento con l’arrivo delle truppe francesi.

A partire dal 1797 e fino al tramonto dell’astro napoleonico il destino delle terre bagnate dalla Livenza rimase legato alle alterne fortune militari di Francia ed Austria. In pochi anni per ben dieci volte il fiume fu varcato da eserciti d’oltralpe in guerra.

Dopo Campoformio, gli Asburgo governarono fino al 1806, poi ritornarono i Francesi e quindi, dal 1814, ancora gli Austriaci.

Durante la dominazione di questi ultimi, che si protrasse sino al 1866, la Chiesa, pur essendo tenuta in grande considerazione, dovette rinunciare in gran parte alla sua autonomia e sottostare nel suo agire all’autorità imperiale. I parroci, oltre alle funzioni proprie legate alla cura d’anime, erano chiamati a svolgere un ruolo nuovo nell’ambito dell’apparato statale: erano funzionari con precise mansioni che andavano dalla soprintendenza scolastica comunale, al controllo dell’assistenza, alla tenuta dell’anagrafe. Le parrocchie, non più amministrate da camerari e confraternite, ma affidate a fabbricieri con esperienze spesso acquisite in seno al Consiglio o alla Deputazione Comunale, erano diventate istituzioni attorno alle quali ruotava gran parte della vita sociale dove gli aspetti religiosi e civili si intrecciavano. Questa “valorizzazione”, che rientrava più che altro nella strategia politica del potere asburgico permetteva di tenere la popolazione sotto una costante sorveglianza, in concreto non facilitò la soluzione di problemi legati ai reali bisogni delle comunità parrocchiali, per lo più prive di risorse. Oltre che alla scarsità di fondi, i maggiori ostacoli derivavano dal rigore burocratico nonché dall’invadenza dei Commissari Distrettuali e delle Amministrazioni Provinciali che avevano il solo compito di eseguire gli ordini di Vienna.

A questo riguardo è emblematica la lunga e penosa vicenda riguardante il campanile della Chiesa Parrocchiale di San Stino.

Il 12 ottobre 1804 si presentarono al notaio di Corbolone Alvise Trevisi i meriga di San Stino di Sotto, di Biveron e di San Stino di Sopra, al fine di registrare e rendere ufficiale quanto il giorno prima i “capi di casa” dei loro comuni riuniti in pubblica vicinia avevano deliberato con regolare votazione. Nel documento si legge: “…intorno le rovine che minaccia il campanile della reverenda chiesa loro parochiale di San Stino di Livenza colla prossima di lui caduta con pericolo di fracassare la chiesa stessa, e di levar la vita a quanti si trovassero radunati nel tempo delle funzioni, [decidono] di gettar giù dalle fondamenta il campanile stesso per rifarlo nell’attuale, od altra più comoda situazione…”.

Con una spesa di 100 lire austriache il vecchio campanile fu subito demolito e Giovanni Fabretti, esattore della Chiesa, senza perdere tempo diede incarico a Gio:Maria Pancino, falegname, di costruirne uno provvisorio in legno. Il Pancino, coadiuvato da Domenico Bastian Moretto detto Giavarina e dai garzoni Gio:Batta Pancino e Gerolamo Bevilacqua, nel 1805, eseguì l’opera in tempi rapidi per cui la spesa di lire 1483 poté essere liquidata con il bilancio del 1806. I materiali derivanti dalla demolizione furono impiegati “nell’ampliazione della chiesa parrocchiale, che troppo era angusta alla sua popolazione”.

Quarant’anni dopo, nel 1844, il campanile provvisorio era ancora in piedi ed era in pessime condizioni. Così si esprimeva la Delegazione Comunale in una lunga nota inviata al Commissario Distrettuale di Portogruaro per ottenere l’autorizzazione di poterne costruire uno in pietra a proprie spese: “…non può corrispondere in forma soddisfacente sia per la posizione bassa che non può servire a dovere…sia perché tratto-tratto porta dei notevoli dispendi per le sue riparazioni…e sia infine perché non conviene alle viste di decoro e di decenza… . La mancanza di mezzi ad effettuare l’opera à fatto dilazionare fin’ora ogni passo…non potevasi far calcolo per parte degli abitanti…essendo pressocché tutti villici in genere senza beni in proprio… . Aggiungasi che la Fabbriceria non à nemmeno mezzi sufficienti a sostenere le spese di culto…e quindi propone che sia ricostruita la Torre in cotto coi fondi derivati e derivabili dalla vasta palude delle Sette Sorelle…”.

Un anno dopo in un rapporto distrettuale diretto alla Delegazione Provinciale si legge: “…la maggior parte della popolazione è composta di miseri pescatori e di colonni semplici e di ristrettissime finanze economiche. Qualunque tentativo perciò si adoperasse per avere da una questua un ricavato da farci fronte almeno in parte alla spesa della costruzione di un campanile in cotto tornerebbe senza effetto…. Ora le campane si trovano sopra travi che deperiranno ponendo all’azzardo le campane stesse…”.

Il logorante ed inconcludente scambio di prospetti, bilanci, pareri e progetti tra Fabbriceria, Comune, Distretto e Provincia si protrasse sino al luglio del 1847. Poi venne il ’48 che sconvolse l’Europa e, nel piccolo mondo sanstinese, causò l’interruzione dell’iter relativo alla ricostruzione del campanile.

Svanita l’illusione indipendentista con la resa di Venezia, nell’ottobre 1850, in un clima politico ancor meno favorevole rispetto al passato, i fabbricieri Lazzaro Lazzaron, Pietro Buoso e l’arciprete Giacomo de Giorgio con una nota indirizzata alla Deputazione Comunale riattivarono la pratica sospesa per “le politiche vicende che sconvolsero il buon ordine e la pubblica tranquillità”. Dopo aver descritto le condizioni del campanile in legno “ridotto in tale stato di fracidità e scompostezza che minaccia rovina e rende sommamente pericoloso il suono delle campane”, i fabbricieri, sempre nella stessa nota, esprimevano la speranza che la “ridonata tranquillità” rendesse possibile la realizzazione in tempi brevi di un’opera tanto necessaria. Nonostante il velato ed interessato ammiccamento verso il restaurato potere politico, le loro speranze andarono deluse. Infatti la Deputazione Comunale, facendo a sua volta presente al Commissario Distrettuale che il campanile era “misero e indecente”, ottenne solo l’autorizzazione di sostituirlo con un altro, sempre in legno.

Dopo un anno, nel 1852, la Fabbriceria si rivolse direttamente al Commissario Distrettuale in questi termini: “Il meschinissimo e debole manufatto su cui sono appese le campane offre ormai dati di breve sua durata e di sollecita inservibilità mentre al suonare di quelle tremola ed esse vanno fuori livello…”.

Dopo cinque anni, in un’altra nota si legge: “Il silenzio dei sacri bronzi occasionato dallo stato fracido e rovinoso del manufatto in legno, eretto a sostituzione del campanile di questa vasta Parrocchia, mancante da oltre mezzo secolo, fa muovere continui giusti lagni di questi abitanti…”.

Il Comune, nel frattempo, essendo in difficoltà di bilancio, aveva deliberato di rinviare “a tempi migliori la costruzione a pietra del campanile”. Poi si mosse la Delegazione Provinciale di Venezia per approvare la spesa necessaria per il restauro dell’impalcatura in legno e per raccomandare di “riattivare, ove si avesse interrotta, ed estendere con ogni premura la questua all’uopo stabilita dal Comunale Consiglio fino dall’anno 1851…”.

La prima fase di questa lunga e logorante vicenda del campanile iniziata nel 1804 si concluse piuttosto miseramente nel 1860 con una “umile preghiera” della Fabbriceria indirizzata all’I.R. Ispezione Forestale di Pordenone. Dopo aver esposto il “triste caso”, e cioè che le campane erano appese su di un “meschino manufatto in legno, ridotto ormai in uno stato di generale fracidità, rovinoso e sconnesso, quindi crollante”, implorava dalla I.R.Ispezione Forestale “la gratuita concessione (per atto di grazia speciale) di varie piante di rovere da uno dei Boschi Erariali” onde poter erigere un altro traliccio per appendere le campane.

Questa “soluzione” che prolungava ulteriormente uno stato di precarietà dovette ferire fortemente i sanstinesi nel loro orgoglio paesano; infatti, era umiliante il confronto del manufatto in legno con i solidi ed eleganti campanili delle vicine chiese di Corbolone e Lorenzaga.

Poi venne l’annessione del Veneto all’Italia (1866) e, grazie a Giacomo Davanzo, parroco coraggioso ed intraprendente, ed al sindaco Giuseppe Giusti, furono poste nel 1872 le fondamenta dall’attuale campanile.

I lavori procedettero con difficoltà ed interruzioni per cui i tempi di esecuzione dell’opera furono assai lunghi: a don Davanzo non bastò la vita per vederne la fine.

Per le fondazioni venne scavata una fossa di m 16 x 14 e profonda m 2.50 per un totale di 562 metri cubi di terra da asportare. Lungo tutto il perimetro vennero conficcati fino a rifiuto 204 pali aderenti l’uno all’altro ed altri 342 vennero posti internamente a sostegno degli incroci dei longoni (travi).

Un primo muro di fondazione formò un solido di m 9.70 x 9.70 x 1.00 ed un secondo muro formò un altro solido di m 8.50 x 8.50 x 1.00.

Nel 1880 la prosecuzione dei lavori fu possibile anche in seguito all’accordo con il Comune che prevedeva il versamento a favore della costruzione del campanile dei risparmi fatti grazie alle opere gratuite fornite da numerosi sanstinesi per l’escavo della nuova fossa “La Beneficenza” nelle Sette Sorelle e per l’ampiamento del cimitero. Alcuni proprietari di carri e buoi effettuarono gratuitamente il trasporto di pietre dai “paludei” al campanile. Muratori, manovali e benestanti offrirono giornate di lavoro.

Nel 1882 il campanile era giunto all’altezza della lanterna e poiché si era dato fondo ad ogni risorsa i lavori vennero sospesi.

Passarono tre anni. Il vecchio manufatto in legno era diventato pericolante e da quattro mesi non si sentivano i rintocchi delle campane. Siccome bisognava trovare una soluzione, don Davanzo e Fabbricieri assecondarono l’idea di collocarle sopra il troncone del campanile in costruzione. Fu una decisione non condivisa da tutti per cui il paese si divise. I favorevoli raccolsero 200 firme, altrettanto fecero i contrari raccogliendone 28.

Informato dai Carabinieri, il Commissario di Polizia del Distretto di Portogruaro scrisse al Sindaco: “In codesto Comune vi è una questione del campanile che potrebbe dar occasione a tumulti e dimostrazioni ostili a codesto rev.do Arciprete, alla Fabbriceria, ed a tutti coloro che intendono di collocare provvisoriamente le campane sulla nuova torre in costruzione… . Prego la S.V. ad adoperarsi per impedire le temute dimostrazioni e disordini…”.

Immediatamente il Sindaco ordinò che “fino a quando non fosse accertata la volontà del popolo” non si collocassero le campane in alto sul troncone del campanile dove, nel frattempo, il falegname Gaetano Pancino aveva predisposto il traliccio per appenderle.

Don Davanzo, su cui gravava ancora la lunga e logorante vertenza Rupolo relativa alla ricostruzione della Chiesa, profondamente turbato da quanto stava accadendo scrisse al Commissario di Polizia: “Dopo 24 anni di ministero in questa Parrocchia, dopo di aver consumato il mio a vantaggio della stessa, dopo di essermi prestato al ben essere di tutti e di non aver fatto male a nessuno, non avrei mai immaginata una simile mortificazione…”.

Nell’aprile 1886, il Genio Civile collaudò per la durata di due anni il castello posto sopra il troncone del campanile prescrivendo che si provvedesse a coprirlo per preservarlo dalle intemperie; successivamente il Prefetto di Venezia accordò il permesso di suonare le campane.

Sei anni dopo, nel 1892, il manufatto che era stato collaudato per due anni resisteva ancora al suo posto.

L’anno prima era morto don Davanzo.

Don Giacomo Jop, l’economo spirituale che reggeva la Parrocchia, ricevette una nota del Sindaco Giusti con la quale comunicava: “…per misura di pubblica sicurezza resta vietato il suono delle due campane maggiori…”.

Sono belle e significative le parole con cui don Jop chiamò a raccolta i sanstinesi: “Avviso: – Subito dopo le funzioni di questa sera, qui, in Chiesa avrà luogo una riunione nella quale si darà comunicazione dell’ultimo e definitivo progetto pel compimento del campanile e si prenderanno gli opportuni concerti pei lavori da eseguirsi. Si tratta di arricchire il paese di un’opera quanto utile e necessaria, altrettanto artisticamente bella, perciò mi lusingo che tutti vorrete prendervi parte. Quando si cerca l’onore e il decoro del proprio paese tutti devono concorrervi col consiglio e con l’opera. Pertanto il vostro motto sia questo: unione e coraggio. Animati da questi sentimenti tutto vi riuscirà facile; sarete benemeriti della religione e del vostro paese e tramanderete ai posteri un monumento che vi farà onore”.

Venne nominata una Commissione composta da don Giacomo Jop (presidente), Artico Antonio (segretario), Buoso Valentino (cassiere), Campagner Giacinto, Fabretti Giovanni, Geretto Pietro, Migotto Giacomo, Pantarotto Domenico, Stanchina Giovanni fu Gio:Batta, Zulianello Angelo e Zulianello Luigi.

Le parole di don Jop ed il lavoro della Commissione diedero buoni frutti. Il 23 agosto 1893 da una barca vennero scaricate 18.930 pietre fornite dalla ditta Antonio Borin di Casale sul Sile ed altre 17.000 vennero scaricate il 5 settembre.

Fig. 1 – Cartolina del 1950 c.a. Il Campanile è alto m. 56,32 (da terra alla base della lanterna m. 28,89; lanterna m. 7,93; tamburo e punta a piramide m. 19,50). La croce cosmica, posta in alto, misura m. 1,60.

Il 28 aprile 1894 fece il proprio ingresso in paese il nuovo parroco don Raimondo Bertolo, il quale nello stesso anno, unitamente ai fabbricieri ed ai membri della Giunta Municipale, firmò il contratto con la ditta Girolamo D’Aronco di Udine per l’esecuzione dei lavori di compimento del campanile. Il 14 settembre s’incominciò a lavorare. Nel mese di gennaio 1895, tramite Girolamo Bevilacqua, furono ordinate altre 25.000 pietre alla ditta Borin.

Qualche mese dopo, nel sollecitare il comune al versamento del promesso contributo di 3.000 lire, il giovane don Bertolo per sottolineare la generosità dei sanstinesi faceva rilevare: “…fin qui la sola popolazione ha fornito i mezzi per portare l’opera ad oltre quattro quinti del suo complessivo importare…”.

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Fig. 2 – Targa ricordo posta sopra la porta d’ingresso del campanile

Il 20 luglio 1895 si conclusero i lavori e, dopo essere stata benedetta, in cima al campanile fu collocata la croce. (figg. 1-2)

Nel riportare la notizia, il giornale “La vita del popolo” in data 3 settembre scriveva: “…con oblazioni spontanee e generose e con manualità gratuite la popolazione conduceva a compimento il locale campanile, (disegno dell’egregio Architetto D’Aronco di Udine) riuscito a detta di tutti gli intelligenti, un lavoro perfetto, monumentale, un vero ornamento del paese…”.

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Fig. 3 – Buon Anno 1918 Disegno eseguito da un soldato del 23° Corpo d’Armata austro-ungarico con sede nella ex Villa Mazzotto situata nei pressi della Chiesa.

Fatto il campanile, bisognava pensare alle campane. Don Bertolo, il 19 settembre 1895, stipulò con la fonderia Colbachini di Bassano il contratto che prevedeva il ritiro delle tre vecchie campane, che pesavano in tutto Kg 1.022, e la fornitura di tre nuove di Kg. 1.723, 1.173 e 814.

Poco più di un anno dopo da quando erano state installate, si constatò che il castello in ferro su cui erano fissate non era affidabile. Seguirono due collaudi con esito negativo. Effettuati i lavori prescritti, l’1 ottobre 1899 si suonò a distesa con tutte e tre le campane; non si manifestarono cedimenti e pertanto il 30 novembre l’Ingegnere Vittorino Bianco del Genio Civile di Venezia dichiarò collaudabili i lavori dell’armatura in ferro “finalmente eseguiti a regola d’arte”.

Così, dopo quasi un secolo la vicenda riguardante il campanile potè dirsi conclusa.

Nel 1917, dopo Caporetto, i sacri bronzi vennero fatti precipitare al suolo dagli austro-ungarici che avevano occupato San Stino. Il loro metallo serviva al nemico per fare cannoni (fig. 3). Sul campanile, che recava i segni delle ferite subite durante la guerra, le nuove campane, quelle attuali, fuse dalla Ditta Francesco de’ Poli di Vittorio Veneto, vennero installate nel 1922. Il parroco d. Michele Martina vi fece incidere il motto “Le nostre campane per i loro cannoni, i loro cannoni per le nostre campane”.

Luigi Perissinotto

2. La Chiesa Parrocchiale Santo Stefano